«Lo sblocco dei licenziamenti apre una nuova fase di conflitto»
Ripubblichiamo, per gentile concessione di Contropiano, l’intervista a Paolo Leonardi, esecutivo confederale USB
Avete commentato in maniera piuttosto dura l’avviso comune sottoscritto da Draghi e i tre segretari di Cgil Cisl e Uil sui licenziamenti
«Impossibile dare un giudizio positivo, di fatto si è trattato di un vero e proprio via libera alle imprese di licenziare e riorganizzare la produzione sostituendo lavoratori anziani, con salari dignitosi, con giovani neoassunti ai livelli salariali di ingresso e quindi più bassi e con meno tutele giuridiche. Un bel regalo a chi proprio non ne aveva bisogno.
Che io ricordi non si erano mai visti esponenti dei sindacati dei lavoratori raccomandarsi ai padroni perché invece di licenziare subito lo facessero dopo aver sfruttato fino all’ultimo giorno la cassa integrazione ordinaria, completamente gratuita per le imprese».
L’impatto del Covid sull’economia italiana non sembra aver messo al tappeto l’industria manifatturiera; piuttosto le piccole imprese, il lavoro autonomo. Come mai su questo non si interviene da parte del governo con la stessa determinazione?
«Gli indici di produzione dell’industria manifatturiera rimandano ad un quadro tutt’altro che drammatico; non solo di tenuta, ma anche di recupero di competitività.
Non ci sono quindi motivi evidenti per rinforzare il già consistente e storico sostegno alle imprese che è al centro della versione italiana del Recovery Fund e quindi del PNRR; se non quello, esplicito, di sostegno ai “campioni produttivi” da valorizzare per avere un ruolo di maggior peso nella competizione internazionale in cui è impegnata l’Unione Europea.
Tutto il resto può continuare ad infoltire quello che in altri tempi si sarebbe definito un robusto e affollato esercito industriale di riserva.
Mi sembra ci sia invece una ripresa violenta di voglia di comando padronale sulla classe operaia in senso stretto, ma anche sui nuovi segmenti della catena del valore. Il contratto della Logistica sottoscritto un paio di settimane fa da Cgil Cisl e Uil, che certo in quel comparto non hanno grande apprezzamento tra i lavoratori, ne è un esempio evidente.
Al fondo c’è la riaffermazione di un’ideologia che fa piazza pulita di ogni possibile ostacolo alla ripresa su larga scala dello sfruttamento e che si nutre anche di omicidi di sindacalisti – come accaduto prima ad Abd el Salam e recentemente ad Adil – di precarietà, libertà di licenziare, disuguaglianze, riduzione del welfare, deindustrializzazione complessiva del Paese, abbandono del meridione al proprio destino di fornitore di mano d’opera a basso costo e terra nuovamente di emigrazione ad alta intensità.
Le migliaia di giovani che fuggono dal nostro Paese testimoniano, meglio di qualsiasi altro dato, il totale disinteresse dello Stato al futuro delle giovani generazioni che vengono chiamate in causa solo se iper-specializzate e disponibili ad accettare contratti a tempo determinato di pochi anni e condizioni di lavoro capestro decisamente inadeguate alla propria condizione».
Come si è potuti arrivare a questo punto senza risposte adeguate da parte dei lavoratori?
«La firma dell’avviso comune che consente lo sblocco dei licenziamenti non è che l’ultimo di una lunga catena di eventi che hanno, nel tempo, contribuito a disarmare il movimento dei lavoratori e tutti portano in calce la firma di Cgil Cisl e Uil. Non è una valutazione soggettiva, è un fatto.
La storica accettazione della moderazione salariale, l’introduzione di una delle più restrittive leggi antisciopero di tutta Europa, il monopolio di fatto della rappresentanza sindacale garantito per volontà divina a Cgil Cisl e Uil, il sostegno alle politiche di austerità imposte dall’unione europea, l’assoluta inesistenza di iniziativa di reale contrasto da parte loro sui più gravi provvedimenti sociali come la riforma Fornero…
E poi la cancellazione dell’articolo 18 con l’introduzione del jobs act o la liberalizzazione del sistema degli appalti, la genuflessione ai voleri delle multinazionali quali Arcelor Mittal, la gestione della scandalosa liquidazione di Alitalia e del trasporto aereo nazionale, la collateralità ad un movimento cooperativo che non è più nemmeno l’ombra di quello che era e che nel suo seno accoglie anche pezzi di criminalità organizzata, lo scambio di fatto tra l’esercizio del proprio ruolo, il conflitto sindacale, e il riconoscimento da parte dei governi di “unici attori del confronto sociale”, hanno contribuito grandemente a determinare una situazione di sfiducia e rigetto dell’istituzione sindacato come quella che stiamo vivendo».
Si intravedono segnali di controtendenza?
«Certamente assistiamo ad un primo risveglio di iniziativa. La filiera produzione, movimentazione, commercializzazione delle merci, è oggi investita in pieno dalla riorganizzazione produttiva e per la prima volta da anni mostra una disponibilità alla lotta, come sta a dimostrare la partecipatissima assemblea operaia dello scorso 19 giugno a Bologna.
Anche il brutale omicidio di Adil, avvenuto durante la giornata di sciopero generale della logistica convocato unitariamente da USB e Si Cobas, ha trovato una risposta importante e di massa, destinata a non cadere facilmente nel dimenticatoio, rivelando peraltro la forte determinazione dei lavoratori immigrati presenti in quel settore come nell’agricoltura, altro settore ad alto tasso di sfruttamento.
Quello che è certo è che quella filiera è al centro dei processi di riorganizzazione e sui lavoratori di quei settori si scaricherà molto presto l’iniziativa padronale che oggi deve impedire, a qualsiasi costo, un rallentamento della circolazione delle merci e la sedimentazione di processi organizzativi alternativi a Cgil Cisl e Uil.
È una sfida che dobbiamo assolutamente accettare definendo percorsi di mobilitazione e proseguendo nei processi di crescita di consapevolezza tra i lavoratori.
C’è bisogno di tornare ad individuare un forte settore di traino capace di indicare la strada della lotta a tutto il mondo del lavoro e del non lavoro e saperla generalizzare».