Prato: ancora tagli al Centro Pecci
A una settimana di distanza dall’ufficializzazione della chiusura giornaliera del mercoledì del Centro Pecci, la direzione della Fondazione per le arti contemporanee in Toscana ha deciso di convocare una riunione con i delegati sindacali dei lavoratori dei servizi museali integrati del circuito Pratomusei, che con questa chiusura hanno subito l’ennesimo taglio di ore lavorative.
La presente O.S. USB, per voce del suo RSA ha voluto innanzitutto sottolineare che tale riunione, indetta a decisione già presa e formalizzata con pec all’ATI, fosse l’ennesima presa in giro nei confronti dei lavoratori: ancora una volta i tagli del servizio e delle ore lavorative vengono decisi unilateralmente, senza coinvolgere le parti sociali e questa volta nemmeno l’amministrazione comunale di Prato (che, ricordiamo, investe annualmente più di 1 milione di euro dei contribuenti pratesi per la gestione del museo).
Le motivazioni addotte sono un triste ritornello che ormai conosciamo a memoria: crisi internazionale ed energetica, bollette quadruplicate. Ma i lavoratori conoscono già bene gli effetti della crisi, perché da mesi si trovano a dover pagare le bollette quadruplicate a casa propria, con stipendi che arrivano a malapena a 1000 euro e che ancora una volta vengono messi a rischio: è quindi una mancanza di rispetto che da un’istituzione profumatamente finanziata si venga a chiedere comprensione adducendo queste scuse. Non è giusto che siano i lavoratori più deboli, precari e poveri a dover pagare le conseguenze di questa crisi.
Dall’estate scorsa USB denuncia l’inutile sperpero di denaro pubblico alimentato dal sistema di affidamento dei servizi museali integrati e propone una vera razionalizzazione e “ottimizzazione” delle risorse: il sistema degli appalti dirotta a favore dei profitti dei soggetti affidatari risorse pubbliche che, se venisse effettuata l’internalizzazione dei lavoratori, consentirebbero di offrire più servizi (primo tra tutti: tenere aperto il museo) e garantirebbero più diritti e garanzie per i lavoratori internalizzati, che verrebbero tutelati attraverso l’unico vero contratto di categoria, ovvero Federculture. L’esternalizzazione di servizi essenziali ha un costo per i contribuenti, perché la cifra corrisposta ai soggetti affidatari è sensibilmente maggiore rispetto a quella che perviene ai lavoratori: questo è il costo che l’amministrazione decide di pagare per delegare a soggetti terzi lo sfruttamento e la precarizzazione dei lavoratori, rendendo il loro lavoro precario ed eliminabile da un giorno all’altro.
La decisione di tagliare ulteriormente i servizi, dopo che la scorsa estate a rinnovo del bando proprio il Centro Pecci li aveva ridotti quasi del 40%, non è una scelta necessaria come vogliono farci credere, adducendo come giustificazione problemi reali ed enormi, ma una scelta politica: la scelta di una gestione classista del museo, una gestione classista della cosa pubblica, in cui chi è ai vertici può compiere scelte controproducenti senza alcuna conseguenza, e chi è più in basso ma fornisce un apporto essenziale all’esistenza stessa del museo è costretto a subire senza essere ascoltato.
USBcontinuerà a denunciare chi, pur di arrogarsi la possibilità di tagliare a piacimento servizi culturali pubblici, riduce i lavoratori alla povertà e ad una precarietà non sostenibile, a maggior ragione in questo momento di crisi inflazionistica ed energetica.